Patrizio fiorentino, era unito da vincoli di parentela a papa Leone X .
La sua nomina venne notificata al capitolo della cattedrale di Saluzzo con lettera apostolica del 22 marzo 1516.
Fu consacrato vescovo il 22 giugno dello stesso anno.
Stando ai documenti, fu il primo vescovo della diocesi a prendere solenne possesso della sede vescovile, il 16 luglio 1516, di domenica, “… Et fo receputo honorevolmente che bastaria che fosse stato lo signore marchisso, et gli fo facto representacione…”.
“… alla porta di San Martino fu ricevuto dal capitolo con croce astata…Così si avviò la processione, fra canti e salve di artiglieria…”. Il corteo salì fino a Piazza Castello per discendere poi a porta S.ta Maria, attraversando tutta la città. In duomo il vescovo, giuridicamente investito della sua autorità, ricevette dai canonici e dai sacerdoti l’atto di obbedienza con vicendevole abbraccio di fratellanza.
Nello stesso mese, il 18 luglio, indisse il primo sinodo diocesano, che si svolse nei giorni 3 e 4 agosto nella cattedrale con l’intervento del capitolo e dei rappresentanti delle collegiate di Carmagnola e di Revello.
L’assemblea sinodale era composta da 185 ecclesiastici e iniziò con una solenne processione per le vie cittadine. Detto sinodo aveva come obiettivi: la riforma del clero, la libertà della chiesa, la tutela dei diritti parrocchiali, ma soprattutto, una generale ripresa di vita spirituale in tutta la diocesi.
Gli statuti sinodali furono distribuiti in ottantasette articoli; alcuni di essi, per esempio, raccomandavano al clero la preparazione dei sermoni, lo studio dei testi sacri e di non essere sciatti nel vestire.
Leggiamo che al parroco, era prescritto “… Tenere l’elenco di coloro che non si confessano a Pasqua… (costoro) devono essere richiamati e… (qualora) perseverino in questa situazione siano richiamati dal vescovo… Nessun sacerdote celebri più di una messa al giorno eccetto che nei casi contemplati dal diritto o con il permesso del vescovo”.
Vengono altresì mossi forti richiami ad osservare le norme morali. In tal senso si evince una condanna dell’usura “… L’usuraio non sia ammesso ai sacramenti e alla sepoltura ecclesiastica se prima non abbia restituito…”.
Degno di essere menzionato è l’articolo che permette ai rettori di chiese di celebrare la messa, in caso di necessità, nell’abitazione degli ammalati.
Nella stessa assemblea sinodale, il vescovo stabilì per tutta la diocesi il culto dei martiri SS. Chiaffredo e Costanzo, soldati, secondo la tradizione, appartenuti alla legione Tebea e martirizzati durante la persecuzione ordinata dall’imperatore Diocleziano nel 302.
Sempre secondo la tradizione, la tomba di San Chiaffredo, venne miracolosamente ritrovata nel novembre del 522 da un contadino mentre arava il suo campicello, dove attualmente sorge il santuario. Nel settembre 1375, il vescovo di Torino, da cui dipendeva Crissolo e tutta la Valle Po (prima della costituzione della diocesi di Saluzzo), conferiva al sacerdote Ludovico Baseti di Moncalieri la rettoria del santuario.
Da notare come il papa Urbano VI il 14 giugno 1387 da Avignone, con un breve apostolico, accordava particolari indulgenze a quanti avessero concorso alla ricostruzione della chiesa di San Chiaffredo in Crissolo.
Mons. Tornabuoni concesse ai contadini della plaga saluzzese, il privilegio di aprire la processione del Corpus Domini con il carroccio a titolo di riconoscenza per l’aiuto che essi avevano prestato per l’edificazione del duomo.
Il vescovo si trasferì a Roma, per provvedere a dare un ordinamento giuridico alla diocesi costituita da pochi anni.
Nel contempo fu nominato governatore di Castel Sant’Angelo e per tale incarico era necessaria la sua presenza a Roma.
La diocesi, per suo mandato, venne amministrata dal vicario generale Filippo de Pistorio, della diocesi di Pisa; a mons. Vacca, invece, venne affidato l’incarico di esercitare le funzioni proprie del carattere episcopale.
Mons. Tornabuoni ebbe il merito di provvedere all’acquisto, nel 1517, di una casa ad uso abitativo per il vescovo; essa era di proprietà dei canonici e comprendeva anche l’attigua cappella di San Sebastiano. Ai tempi della peste del 1398 i saluzzesi si raccomandarono a S. Sebastiano per essere liberati: fu allora costruita in suo onore la cappella inserita in seguito nel palazzo vescovile. Della Cappella non esistono più che alcuni tratti della facciata nell’angolo di detto Palazzo verso Via Carrera ora Via Volta.
Dall’anno 1517, infatti, i documenti vescovili e della curia furono emanati dal palazzo vescovile, mentre alcuni atti precedenti a tale data, vennero redatti in una casa sita nelle vicinanze del duomo.
Nel 1530 rinunciò alla diocesi in favore del nipote: Alfonso Tornabuoni.