La riflessione di questa settimana rappresenta il momento centrale e decisivo per il fedele e per il cristiano, nonché il cuore di tutta la Celebrazione. Settimana dopo settimana ci siamo preparati e avvicinati a questo momento. Entriamo ora nel mistero dei Riti di Comunione.
L’assemblea dei fedeli è in piedi – Manca poco alla partecipazione sacramentale all’Eucaristia e, a questo punto, trova la giusta collocazione il Padre Nostro, la parola d’ordine del cristiano. Ritengo che sia
questo il momento giusto e doveroso, per ogni fedele, pronunciare la richiesta “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, nella quale si percepisce un blando riferimento eucaristico. Se accettiamo la traduzione di San Girolamo, il quale legge la parola greca resa solitamente con quotidiano, come se volesse dire soprannaturale, il riferimento non è poi così tanto blando: ecco dunque l’Eucaristia che, essendo “pane vivo disceso dal cielo” (Gv 6,51), possiede tutti i requisiti per dirsi soprannaturale.
E’ necessaria una certa audacia per rivolgersi a Dio chiamandolo Padre e la Liturgia di questo ne è consapevole: quindi introduce questa preghiera con un’accorta monizione (= invito alla preghiera personale, rivolto dal celebrante all’assemblea), già ricorrente nelle primitive fonti
liturgiche: Obbedienti alla parola del Salvatore e formati al suo Divino insegnamento, osiamo dire. Questa monizione può essere ampliata a discrezione del celebrante, ma le parole che la compongono non dovrebbero mai mancare: segnalano infatti che, se “osiamo” dire Padre nostro, non è per nostra prontezza, ma per consenso di Nostro Signore, che così ci ha istruiti. Insomma: è vero che Dio è
nostro Padre ed è vero che la sua paternità su di noi si fonda nel Battesimo. Noi fedeli, però, dobbiamo sempre ricordare che, se è vero che si tratta di paternità, questa va trattata con riguardo e non ne
dobbiamo mai abusare. La recita corale del Padre Nostro, recitato nel suo momento aureo, che si dilata nella supplica finale (liberaci dal male) verso una preghiera che prende il nome greco di embolismo (= inserzione, aggiunta) unisce tutta l’assemblea. In questa preghiera si riconosce che il male
peggiore è il peccato e che i nostri turbamenti esistenziali, sia collettivi sia personali, sono compensati ampiamente dalla “beata speranza”, sulla quale si deve ostantamente puntare lo sguardo.
Si risponde a questa preghiera con una formula liturgica, una dossologia presa
dalla Didachè, il più antico catechismo (circa 90 d.C): Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli.
Mai come in questi mesi, ci siamo resi conto che la pace è un bene inestimabile, e che gli uomini, quando se la vogliono procurare da soli, combinano solo pasticci. Al massimo arrivano a concepire la pax
Romana (si vis pacem, para bellum = se vuoi la pace, prepara la guerra). La pace può, dunque, essere soltanto dono di Dio (Gv 14,23), per il quale è utile pregare. Si prega per la pace e l’unità nella Chiesa,
ma anche per la pace tra gli uomini. Il Celebrante invita i fedeli a scambiarsi un segno di pace: è un augurio, una speranza, un desiderio.

Monsignor Cristiano Bodo Vescovo