Come anticipato alla fine del testo scorso, affrontiamo ora l’analisi della sezione più importante di tutta la Celebrazione Eucaristica. Questa parte può essere facilmente paragonata alla vetta di una montagna, se per montagna e per scalata s’intendono l’intera Celebrazione. I fatti precedenti, pure importanti, sono inferiori a ciò che ci attende: la Preghiera Eucaristica. Proprio perché così centrale e complessa, divideremo la nostra riflessione in due parti, indicando come linea di confine provvisoria il canto del Santo. L’assemblea, alzatasi al termine della Preparazione dei Doni, dopo aver risposto alla preghiera Pregate, fratelli… rimane in piedi. La Preghiera Eucaristica è il testo che fa esistere l’Eucarestia, facendo sparire la sostanza del pane per rendere presente il Corpo di Cristo, e la sostanza del vino per rendere presente il suo Sangue. La riflessione della Chiesa, per definire questo mutamento di sostanza, ha coniato un termine dotto transustanziazione. Nel Messale Romano si trovano sei testi di preghiere eucaristiche, più o meno alternativi. Il quinto esiste in quattro forme qua e là differenti e, per questo possiamo affermare che, in pratica, le preghiere eucaristiche sono dieci, in confronto all’unica gloriosissima, in vigore almeno fin dai tempi di Sant’Ambrogio (+397): il così detto Canone romano. I fedeli più attenti, riescono a notare delle differenze, ma non hanno difficoltà a constatare che si tratta di testi equivalenti, intercambiabili e finalizzati tutti alla stessa cosa. È un po’ come per la lettura o l’ascolto dei Vangeli: non ci vuole molto per capire che sono testi diversi, ma ci vuole ancora meno per accorgersi che trattano la stessa vicenda con i medesimi personaggi. La preghiera eucaristica è complessa e articolata e per comprenderla potremmo paragonarla a un polittico pittorico, a tema unico, ma composto di vari pannelli tra loro complementari. Come per riuscire a leggere e interpretare l’opera pittorica, è necessario scindere i singoli pannelli, così, per assimilare la preghiera eucaristica nella sua totalità, si deve scomporre le varie parti e approfondirle. All’inizio c’è un dialogo preliminare tra Celebrante e assemblea. Il Celebrante, anche nei momenti in cui prega solo lui, sa di non essere da solo e cerca di tenere unita a sé l’assemblea, coinvolgendola nella dinamica della preghiera con un dialogo che ha inizio con: Il Signore sia con voi. In alto i vostri cuori. Rendiamo Grazie al Signore nostro Dio. Segue il prefazio: che può essere inteso come una grande porta d’ingresso, che con un vocabolario altisonante, ma mai esagerato o pomposo ci conduce verso il rendimento di grazie (Eucarestia per l›appunto): E’ veramente cosa buona e giusta… rendere grazie… a te, Signore,… per Cristo nostro Signore. In italiano Cristo è il tramite che trasferisce al Padre il ringraziamento in atto, ed è anche il motivo del ringraziamento. Ogni atto di gratitudine è motivato, infatti non può esistere gratitudine gratuita. Il prefazio termina con una grandiosa impennata ascensionale, che fa esplodere liricamente il canto del Santo, udito per la prima volta dallo “stordito” Isaia (6,3). La Chiesa lo ha abbellito con il verso 26 del salmo 118 (117): Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Questo canto avverte l’assemblea che si è in buona compagnia: la sua voce, infatti, si mescola a quella di angeli, arcangeli, cherubini e serafini, i dignitari di corte del gran Re (Dn 7,10). Il Santo, inteso come canto corale, per dare il meglio di sé, dovrebbe essere sempre cantato.
Mons. Cristiano Bodo