I fedeli sono in piedi- Dopo il saluto intrioitale da parte del celebrante, per fare il punto della situazione: serve per richiamare nei fedeli serietà e attenzione e per inquadrare il senso della celebrazione in riferimento all’anno liturgico. Al termine di quest’ultima, s’arriva all’atto penitenziale. Per mettersi davanti a Dio occorrono giuste condizioni: ciascuno si riconosce peccatore e se ne pente. Questa presa di coscienza della condizione di peccatori deve avvenire con la dolorosa sincerità del “pubblicano al tempio” (Lc 18,13).
Occorre qui sottolineare che la Chiesa non riconosce all’atto penitenziale un valore sacramentale e, pertanto, quest’ultimo non è sostitutivo della confessione, che si mantiene obbligatoria in caso di peccato grave.
Tuttavia, dopo un serio utilizzo di quest’atto, il fedele che si sente colpevole di peccati veniali, può tranquillamente accostarsi alla Comunione. L’atto penitenziale prevede varie forme , tra le quali si può considerare classica il Confesso a Dio onnipotente, nel quale il peccato viene avvertito nelle sue componenti teologiche ed ecclesiali.
L’atto penitenziale termina con i gioiosi lamenti del Kyrye elèison o del Signore pietà. Non bisogna mai smettere di chiedere scusa a Dio, infatti la richiesta di perdono ritorna di tanto in tanto nelle successive parti della Messa, ad esempio nel Gloria e nell’Agnello di Dio, come sincera espressione della condizione di peccatori degli uomini. Dopo aver chiesto perdono al Signore ed essersi accostati a Lui, ecco risuonare vittorioso verso l’alto l’inno Gloria a Dio nell’alto dei cieli. Gli angeli natalizi hanno inventato queste parole (Lc2,14) e la Chiesa accogliendo il suggerimento ha composto il resto. L’inno, così come lo si proclama o lo si canta, si trova già completo in una composizione siriaca (Costituzioni Apostoliche) della fine del IV secolo. E’ un inno maestoso e festante, che dà il meglio di sè se viene cantato, ed è movenza Trinitaria un pò sbilanciata, però, perchè lo Spirito Santo e menzionato soltanto nella fuga finale.
Al temine del Gloria si arriva alla Colletta, ovvero la preghiera presidenziale che conclude l’introduzione. Un tempo la Colletta era chiamata genericamente Orazione. Ora la si chiama colletta, voce di provenienza latina, che denota la funzione di questa preghiera: quella di raccogliere e quasi di fondere insieme le intenzioni di preghiera dei presenti alla Celebrazione. La parola Colletta, infatti proviene dal latino colligo che vuol dire raccogliere. E’ pronunciata dal solo sacerdote, a cui compete, dopo un attimo di silenzio, esprimere ad alta voce le intenzioni d preghiera dei presenti. Spesse volte delinea anche, in forma sintetica, il contenuto della ricorrenza liturgica.
La Colletta si conclude con la mediazione cristologica (per il nostro Signore Gesù Cristo), che sbocca nell’ampliamento trinitario.
Al termine della Colletta i fedeli si siedono, in attesa della Liturgia della Parola.
+Cristiano Bodo vescovo