“Essere fratelli…”
Ritiro spirituale diocesi di Saluzzo 17 Ottobre 2019
Dopo tanto aver parlato della “fraternità sacerdotale” ho pensato di proporvi una meditazione che cerca di essere una sintesi del cammino che abbiamo cercato di vivere insieme fino ad oggi e che richiede, a mio parere, tanti passi ancora da compiere. Insomma un punto della situazione per guardare ai passi che ci stanno dinnanzi.
“Voi siete tutti fratelli”
In Marco 10,29 e seguenti leggiamo:
“In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figlio o campi a causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”
Gesù invita i suoi discepoli a lasciare tutto, ma non li lascia a mani vuote, senza niente: offre loro una nuova famiglia, nuovi fratelli e nuove sorelle.
Questo come avviene per ciascuno di noi? La nostra partecipazione all’unico sacramento dell’Ordine nella medesima Chiesa particolare, infatti costituisce per ciascuno di noi un legame di fraternità del tutto speciale.
Se è innegabile questo legame di comunione altrettanto vere sono le amare solitudini che tante volte attanagliano la vita di noi preti.
Certo c’è una solitudine buona: è la solitudine della preghiera e dello stare con Gesù. Ma c’è anche una solitudine che non è buona e che è
fonte di amarezza: è la solitudine dell’isolamento, dell’abbandono, della pigrizia, della mancanza di amicizia e di comunicazione.
Oggi il prete è più solo di un tempo e più esposto a certe difficoltà: è dunque nella situazione migliore per valorizzare al massimo la fraternità, possibilità irrinunciabile presente nella sua vocazione. Questa è una condizione di sopravvivenza che gli permette di trasformare in olio profumato quelle che potrebbero essere invece solo lacrime di amarezza.
“Fraternità presbiterale”
Potremo dire che la fraternità presbiterale è la ripresentazione per noi presbiteri di oggi dell’esperienza del cenacolo. Questa esperienza che fu fondamentale per gli apostoli, lo è altrettanto per noi pastori dell’oggi. È l’esperienza dello stare insieme attorno a Cristo, con Maria, da cui possiamo ricevere forza, fedeltà, slancio per il ministero.
Il cenacolo non è solo esperienza intimistica ma può dare una forma al nostro vissuto presbiterale e come sapete abbiamo proposto tre possibili figure di “cenacolo”.
1) Vivere insieme in comunità, mettendo in comune i propri beni e mettendosi a disposizione per le necessità pastorali.
2) Abitare la stessa casa, vivendo ognuno il proprio ministero o in “solidum”, ma riservandosi tempi comuni per la preghiera, la condivisione e la progettazione pastorale.
3) Rimanere ognuno nella sua parrocchia fissando appuntamenti precisi per ritrovarsi, almeno una volta alla settimana, per condividere il proprio vissuto, progettare, pregare, mangiare insieme.
A questo proposito San Giovanni Paolo II ebbe a dire un giorno:
“I luoghi della formazione sacerdotale devono essere come una casa accogliente, come una famiglia nella quale si stringono legami profondi e si coltiva quella fraternità aperta e matura che costruisce una delle più importanti componenti di un sereno e fecondo ministero”.
Se questo vale per il luoghi di formazione alla vita sacerdotale, tanto più vale i luoghi del nostro vivere quotidiano e credo che potrebbe essere proprio una sfida per ciascuno di noi: trasformare i luoghi della nostra vita sacerdotale in casa accogliente.
Personalmente ho sempre pensato che la fraternità presbiterale prenda il via dalla stima vicendevole, nella consapevolezza della comune iniziativa del Signore. C’è una stima che è dettata da una sottile strategia dell’io, quando si esaurisce nella stretta cerchia degli amici che nono possono che ricambiare… in fondo è una stima egocentrica.
La stima degli altri come espressione dell’agape ha la forza di raggiugere tutti i confratelli, accogliendo di ciascuno doni e limiti, i primi sovente da scoprire, i secondi assai più evidenti.
Il saper stimare richiede di “saper accogliere la diversità”, di chi ha di più, di chi ha di meno, di chi ha talenti diversi. A volte ci allontaniamo psicologicamente o prendiamo le distanza da chi ha qualche dono in più, da chi apparentemente ha successo, sarà per gelosia?
“Il valore dei gesti fraterni”
Riunioni, incontri, assemblee, non poche volte ci lasciano l’impressione di risultare inutili e dispersive. Eppure si è parlato, ascoltato, pregato e dibattuto insieme. L’incontro fraterno e pastorale non è soltanto funzionale al seguito. È già di per sé stesso momento di crescita della comunione. Non bisogna mai dimenticarlo: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” Mt 18, 20.
Una telefonata, magari per un augurio, una presenza per un lutto, una parola di apprezzamento, un gesto di solidarietà in un contesto di difficoltà.
Sono tutte espressioni del coraggio di trarre le conseguenze dalla fede nella “fraternità sacramentale”, in cui si decide la qualità stessa del proprio essere preti.
“La totalità dell’Amore”
Dopo aver condiviso con covi alcune considerazioni concrete, forse troppo concrete ma non penso, non dobbiamo dimenticarci che Dio ama perché noi possiamo amarlo nei nostri fratelli, nel presbiterato e nella carità pastorale. Il contenuto essenziale della carità è il dono di sé, il dono totale di sé ai fratelli per mezzo della Chiesa, “a immagine e condivisione del dono di Cristo” (PDV 23).
Così è la carità di Cristo, il quale non dice mai basta a nessuno. Come ci invita l’inno alla carità della prima lettera ai Corinti: la carità è intuitiva, coraggiosa, libera, prende iniziativa, sa “godere”, sa piangere, non perde tempo, non si lascia intimidire.
Certo le vite dei presbiteri sono molto diverse l’una dall’altra, ma se la carità diventasse davvero “criterio e misura”, l’attivismo diventerebbe servizio al Regno, e il tempo di un ministero meno attivo si riempirebbe di infinite possibilità evangeliche, di molti gesti concerti e solidali.
La certezza che il Signore è con noi e che non ci abbandona, è l’esperienza fatta tante volte che il Signore è un buon compagno di viaggio, si rinnova e noi sentiamo che il cammino che ricomincia oggi è un cammino nuove, non per la sostanza della grazia che esprime, ma per la novità del fervore, della fiducia, della speranza che lo vivifica e ci rende nuovi operai: freschi operatori riconfermati al servizio del Signore e nella costruzione della Chiesa di Dio. A questa fiducia vogliamo riferirci per ringraziare il Signore, per renderci conto di quanto il Signore sia stato buono: è buono e sarà buono nella nostra vita.
Non dobbiamo mai dimenticare che il Cristo è la nostra forza, l’esperienza che la nostra vita è travolta dal Signore, che la nostra vita è ipotecata dal suo Vangelo.
Allora con voi mi voglio porre alcune domande conclusive su cui potremo soffermarci nella meditazione di questa mattina:
“Facendo il punto della situazione sulla mia vita sacerdotale oggi. Quali le gioie, quali le fatiche? In sostanza, come sto?”
“Come fare per mettere al primo posto l’amore, le relazioni e l’agape tra noi presbiteri?”
“Che cosa mi aiuta a crescere nella fraternità e cosa invece mi fa regredire?”
Tutto questo ce lo chiediamo perché il nostro cuore è sedotto dal suo Amore. Questa è l’esperienza dalla quale nasce la nostra gioia e soprattutto la nostra speranza e la nostra fede di presbiteri.
Vorrei concludere con una preghiera del mio caro e compianto Arcivescovo emerito:
Fa che (i tuoi sacerdoti) si fermino, o Signore, per ascoltarti, senza lo sguardo sul tempo che corre: dona loro, o Signore, la passione per la tua Parola, il gusto della preghiera, la cura del “roveto ardente”, della tua eucarestia, l’amore per la tua Chiesa segnata da rughe e da luci.
Fa crescere nel loro cuore i germi fruttuosi di santità è il desiderio del mare aperto per annunciare con la vita donata la bellezza del tuo Regno. (+ Enrico Masseroni)
Vostro + Cristiano, Vescovo